Sinceramente non so come prendere le notizie che provengono dall’Afghanistan.

Di certo la cosa che più mi salta in vista è la completa disfatta delle politiche occidentaliste che americani ed alleati volevano imporre in quella non troppo lontana terra, da sempre luogo di scontri ideologici, religiosi e culturali che alla fine hanno sempre visto prevalere le forze locali sui ben più organizzati ed armati imperi, nella convinzione che la democrazia si potesse esportare come i pacchi Amazon.

Una persona che è abituata a non fermarsi davanti al muro di notizie mainstream e che di solito approfondisce gli argomenti, può essere portata per sua natura a pensare che qualcosa non torni, ed ho l’impressione che sotto sotto ci sia la solita vecchia storia della partita ben più complessa che è stata portata avanti da attori più o meno nascosti.

C’è da dire infatti che il mondo non è più quello di venti anni fa, è molto più multilaterale, gli USA non sono più l’unica superpotenza egemone e sono certo che gli americani, vuoi per l’impulso popolare che gli giunge dagli States, vuoi per via la generale perdita di interesse generato dall’impossibilità e dall’incapacità di governare un caos così generalizzato, hanno concretizzato ciò che negli anni passati avevano già anticipato: hanno ritirato il contingente dal suolo afgano e di fatto hanno restituito quella martoriata terra ai Talebani.

Ed il termine “restituito” non è affatto casuale.

Non si è potuto fare a meno di notare come l’avanzata dei talebani sia avvenuta con una rapidità inaspettata, tant’è che sono passate solo 72 ore dall’informativa fornita dai servizi di intelligence americana che valutava in circa 90 giorni i tempi necessari ai talebani per entrare nella capitale, a quando effettivamente ciò è avvenuto.

Appare quanto mai lampante che indicibili accordi siano stati siglati tra le parti, accordi che vanno oltre quelli ufficializzati nei primi mesi del 2020 tra le autorità americane e quelle talebane dopo i colloqui bilaterali tenuti in Qatar. Per questo ho una certa intrinseca convinzione che non si sia trattato di una vera e propria riconquista, ma di una restituzione.

Un’altra notizia che mi ha particolarmente colpito e che mi ha lasciato molto perplesso mi è arrivata da una lettura in cui ultimamente mi sono imbattuto, riportata all’esterno del flusso mainstream dell’informazione, dalla quale ho potuto apprendere di una non troppo nascosta corrispondenza di amorosi sensi tra il Mullah capo dei talebani ed il responsabile esteri della Repubblica Popolare Cinese.

La Cina infatti pare essere interessata ad estendere la propria area di influenza anche verso l’Afghanistan, in chiave di contenimento dell’emergente superpotenza indiana e nel tentativo di impedire il propagarsi dell’islamismo radicale nelle sue periferie più estreme.

I Cinesi però a differenza degli americani sanno perfettamente che l’Afghanistan ha la fama di essere il “Cimitero degli Imperi”, pertanto non è interessata ad una militarizzazione di quel territorio, piuttosto alla sua “civilizzazione” attraverso la costruzione di infrastrutture e reti di servizi essenziali. Un po’ come è capitato con l’Africa nera, in perfetto stile cinese.

La Cina inoltre si è aggiudicata negli ultimi anni i diritti ad estrarre l’ottanta per cento dei minerali esistenti nel sottosuolo afgano tra cui petrolio e preziosi e, almeno per il momento, i talebani hanno tutte le intenzioni di onorare quei contratti.

L’America anche per questo ha deciso di lasciare gli onerosissimi impegni economici derivanti dalla gestione di un territorio così martoriato alle potenze regionali come Cina e Russia.

Nei prossimi mesi dunque vedremo dall’atteggiamento dei talebani quale strada avranno scelto, se ritorneranno ad essere i distruttori che fecero saltare in aria i Buddha di Bamiyan, oppure se decideranno di essere accreditati al rango di interlocutori.

Una scena che mi porta a pensare che questa seconda generazione di combattenti sia diversa dalla prima e che abbia appreso dalla presenza degli occidentali l’arte della trattativa mi giunge dalla città di Mazara i Sharif, dal palazzo che il signore della guerra Dostum ha abbandonato e che oggi è occupato dai talebani. Venti anni fa l’avrebbero distrutto a cannonate ed avrebbero bruciato i resti. Oggi si sono limitati ad occuparlo, in una scena che ci riporta indietro di circa ottant’anni, a quando gli Americani sbarcati in Italia si insediavano nei palazzi che i tedeschi avevano abbandonato con la smobilitazione.

La cosa più importante e grave però che riguarda noi occidentali, esula da quelle che sono le politiche interne afgane. Temo difatti che questa riconquista avrà un’eco devastante all’interno del mondo del radicalismo islamico e ridarà agli estremisti di casa nostra nuovo slancio. Bene farebbero le autorità europee a tenere altissima la guardia.

Un’ultima considerazione “eretica” mi sia consentita in conclusione di questo pezzo. Quello che noi non percepiamo e che non ci viene rappresentato è un sentimento di vicinanza che i talebani ispira nella principale etnia afgana che è quella Pashtun. I talebani che noi vediamo soltanto come terroristi, sono in Afghanistan socialmente rappresentativi delle nazioni Pashtun e Deobandi e questo è da considerare. Gli USA lo hanno certamente fatto, giudicando alla fine della fiera i talebani come unico soggetto in grado di amministrare l’Afghanistan.