Premetto che sono a favore delle autonomie e delle “piccole patrie”, naturalmente a patto che le stesse siano totali e non parziali; in poche parole se si ha desiderio di autonomia, bisogna prendersi sia le positività che le negatività da essa derivanti.

Bisogna naturalmente partire da un punto saldo che è la Costituzione Italiana che sancisce l’uguaglianza dei cittadini e di conseguenza il pari diritto ad accedere ai medesimi servizi su tutto il territorio nazionale. Qualsiasi decisione presa al di fuori di questo concetto verrebbe impugnata presso la Corte Costituzionale e conseguentemente annullata lasciando i richiedenti con un pugno di mosche in mano.

Come si fa quindi ad andare incontro alle aspirazioni di cittadini italiani che hanno espresso la volontà di avere maggiore autonomia? Partendo dal principio che tali esigenze sono legittime ed in sintonia con le politiche nazionali che l’attuale governo a Conte sta attuando, bisogna stabilire con certezza il corretto conteggio dei fabbisogni standard e questo non significa calcolare il limite minimo di fabbisogno di un territorio e dei suoi abitanti, ma una misurazione reale delle loro oggettive esigenze, senza introdurre elementi incostituzionali come l’attribuzione di maggiori fabbisogni in presenza di maggiore gettito fiscale. 

Il trasferimento di funzioni, non può e non deve essere un modo per sbilanciare l’erogazione di servizi essenziali a favore delle regioni più ricche. Insomma, la cosa da evitare, anzi, da dimenticare è che dietro il desiderio di autonomia si nasconda l’aspirazione di creare un contesto in cui ci sono cittadini di serie A e cittadini di serie B.

Per un’efficace attuazione dell’autonomia richiesta da regioni importanti come Veneto e Lombardia e per scongiurare ricorsi alla Corte costituzionale, è importante che tutti gli equilibri sanciti dalla Costituzione siano rispettati. In definitiva devono essere chiaramente determinanti i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti sociali e civili che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale, così come previsto dalla Costituzione, altrimenti stiamo parlando di parva materia e di un provvedimento che avrà vita breve.

Altrimenti non si capisce perchè non si proponga di regionalizzare anche il debito pubblico italiano, facendolo pagare in proporzione alla ricchezza prodotta da ciascuna regione o alle zone di residenza territoriale dei possessori dei titoli di Stato. Questo perché il ragionamento degli “Onori ed oneri” vale per tutti, soprattutto in situazioni come queste. Non sarebbe difatti giusto, ad esempio, se ad assumersi gli oneri in termini di debito per “grandi opere” (TAV, varianti autostradali, MOSE) oppure per “grandi eventi” (Expo, Olimpiadi) che le istituzioni del nord hanno chiesto o stanno chiedendo, sia lo Stato e quindi l’intera nazione.

Su quest’ultimo punto descritto, vale la pena di far notare un “dettaglio”: recentemente l’intero sistema bancario Veneto è saltato in aria. Anni fa assistemmo al fallimento di Banca Antonveneta, mentre ultimamente ad andare a gambe all’aria sono state Veneto Banca e Banca Popolare di Vicenza e il loro salvataggio è costato 20 miliardi, ovviamente a carico dello Stato e quindi anche dei contribuenti Romani, Napoletani, Baresi, Reggini e Palermitani.

In definitiva mi sento di dire che bisogna sostenere un processo di autonomia, a patto che questo sia solidale, inclusivo, sociale e cooperativo.