Come promesso, con una serie di articoli che di volta in volta pubblicherò su questo blog, condividerò con voi alcune mie riflessioni relative a quelli che secondo me sono stati i punti salienti del discorso che Mario Draghi ha pronunciato al Senato, all’atto del suo insediamento.

Come avevo già accennato nel precedente post, la prima riflessione riguarda il desiderio del Presidente del Consiglio di assecondare una delle follie neoliberiste apprese in uno di quei club esclusivi (ed eversivi) da egli frequentati che è il cosiddetto “Gruppo dei 30” o G30 e mi spiego meglio. 

Il passaggio del suo discorso che balza alla mia attenzione è il seguente: “Il governo dovrà proteggere i lavoratori, tutti i lavoratori, ma sarebbe un errore proteggere indifferentemente tutte le attività economiche. Alcune dovranno cambiare, anche radicalmente. E la scelta di quali attività proteggere e quali accompagnare nel cambiamento è il difficile compito che la politica economica dovrà affrontare nei prossimi mesi.”

Prima di entrare nel merito di questa affermazione, innanzitutto sono necessarie alcune premesse; come prima cosa bisogna chiarire cos’è il Gruppo dei 30. Il “G30” si presenta come un forum consultivo nato per promuovere “scambi di vedute” fra alcuni dei principali attori pubblici e privati del sistema bancario internazionale. Esso è costituito dai presidenti delle banche centrali dei principali paesi, accademici esperti di questioni finanziarie e rappresentanti dei grandi gruppi bancari, che si riuniscono in maniera ufficiale un paio di volte all’anno per confrontarsi, a porte rigorosamente chiuse e senza documentazione pubblica, sui grandi temi dell’economia e della finanza globale.

Non esattamente un club di amici della briscola ma un vero e proprio mandamento oligarchico che mette intorno ad un tavolo gli uomini più influenti del mondo finanziario, gente con le mani ovunque che è stata addestrata a tutelare gli interessi di persone potenti, che hanno capitali personali superiori ai PIL nazionali. Uomini quindi che sono perfettamente in grado di influenzare, qualora essi facciano cartello, qualsiasi scelta politica e non solo, in qualsiasi parte del globo.

Se adesso state pensando di esservi imbattuti nel solito post complottista, sappiate che non lo scrivo affinché voi ci crediate, ma perché è propedeutico ad un fatto comprovabile nella realtà, che è collegato al tema centrale di questo post che non riguarda il G30, ma richiama direttamente la citazione estratta dal discorso di insediamento di Draghi sopra citata in corsivo.

In poche parole l’orientamento del G30, espresso in un rapporto che potete trovare qui, è quello di accompagnare le aziende che già non navigavano in buone acque prima del Covid e che oggi stanno letteralmente affogando, verso il fallimento, ovvero, verso un default controllato e selettivo.

La pandemia purtroppo mette le nostre piccole e medie imprese, che rappresentano l’ossatura della nostra nazione, davanti ad una crisi di insolvenza per mancanza di introiti, da cui scaturisce una montagna di debiti difficilmente pagabili. In Italia la scadenza più temuta è quella di fine marzo, quando molte aziende dovranno fare i conti soprattutto con i loro debiti e quando dovrebbe finire il blocco dei licenziamenti. La verità vera è che siamo di fronte ad un reale pericolo di licenziamenti massicci e di fallimenti di imprese con dei numeri mai visti fino ad oggi.

In soldoni questo studio dimostra che la tendenza ad accumulare debiti era prassi già consolidata ben prima dello scoppio della pandemia la quale, non ha fatto altro che dare fuoco ad una miccia che era lì pronta per essere accesa. Lo studio evidenzia che ad essere più esposte sono le piccole e medie imprese in quanto queste dipendono largamente dal credito erogato dalle banche, verso le quali si sono esposte fornendo garanzie personali per far fronte ai crediti ottenuti. Esse nel contempo rappresentano il principale serbatoio occupazionale non solo a lei bello nazionale ma globale.

Ci sono Nazioni che per far fronte al rischio reale di fallimento delle PMI, con i relativi risvolti occupazionali, hanno stanziato aiuti e sussidi massicci.

Per il sistema neoliberista dominante di cui il G30 è una sentinella, gli aiuti di Stato, ovvero gli interventi pubblici in economia sono una bestemmia in quanto, secondo i suoi dogmi, il mercato è in grado di autoregolarsi mentre i Governi sono chiamati soltanto fornire una serie di norme messe in sequenza, a garanzia e tutela del libero mercato e della sfera economica e privata. Pertanto, il documento redatto dal G30 ritiene che l’intervento degli Stati non debba essere eccessivo, anzi, viene espressamente suggerito ai governi di non puntare a guadagnare tempo erogando liquidità per tutti, ma cercare di usufruire delle competenze tecniche dei privati per effettuare valutazioni sulla redditività delle imprese.

Attenzione, questo è un passaggio cruciale poiché la successiva domanda che sorge spontanea ci conduce direttamente al bandolo della matassa: che succede dopo? Ovvero, quale dovrebbe essere il passaggio immediatamente successivo a tale valutazione? Inoltre, cosa succede a chi non dovesse “superare l’esame”

La risposta è lapidaria e testuale e fa paura per quanto è chiara: “La situazione potrebbe richiedere una certa quantità di distruzione creativa”. Avete letto bene, “distruzione creativa”. In poche parole quel passaggio poc’anzi menzionato, estratto dal discorso di insediamento al Senato pronunciato dal nuovo Primo Ministro intende dire che se possedete un’azienda in crisi di liquidità, lo Stato è pronto a staccarvi la spina in maniera selettiva, cioè dedicata solo a voi. Ecco, il neoliberismo è questo, è la legge del più forte.

Non poteva infine mancare la presa per i fondelli finale. Difatti, sempre stando al documento redatto dal G30, si auspica che le risorse pubbliche, qualora debbano essere impiegate massivamente, debbano andare a sostenere gli “sforzi” del settore finanziario che poi andrebbe a sostenere a sua volta quelli delle imprese.

In poche parole questo G30 che ha uomini ovunque, profonda influenza e, come nel nostro caso, capi di governo al suo servizio, è una sorta di Robin Hood all’incontrario che “consiglia” di togliere ai poveri per dare ai ricchi.

Per contro, la certezza di un’ondata di disoccupazione di massa, con tutte le evidenti e pericolose derive sociali del caso, è sbrigativamente affrontata con generici riferimenti a riqualificazioni e trasferimenti di lavoratori.

La domanda finale che sovviene è: “Chi decide chi deve vivere o morire?” La risposta è di facile deduzione: sempre le stesse oligarchie. Tutto ciò col bene placido del Nuovo Partito Unico Europeista (NPUE), quell’insalatona mista che mette in un’unica maggioranza tutto ed il contrario di tutto, con lo scopo di fornire al premier una colossale maggioranza tesa a contenere ogni dissenso mentre lui lavorerà a piccoli passi per la distruzione dello stato sociale italiano.