Lavorare per produrre, produrre per guadagnare, guadagnare per spendere, spendere per consumare.

Se riduciamo ai minimi termini le vite di noi “civili” cittadini Occidentali, nella nostra quotidianità troveremo sempre questo algoritmo di fondo. Al di fuori di questo circolo però, quanta vita ci è rimasta? Quanto tempo abbiamo ancora per dedicarci alle nostre esigenze e soprattutto a quelle degli altri? Noi italiani eravamo un popolo solidale, ci siamo rialzati dalla polvere con fatica e siamo ripartiti alla grande verso le prospettive che la modernità offriva. Ma ora che ‘la modernità’ è qui, ora che l’abbiamo raggiunta e non riusciamo più a governarla, ed essa ci travolge con i suoi ritmi incalzanti e ci rende freddi calcolatori, noi quali atteggiamenti sappiamo assumere? Come ci si risveglia quando ci si accorge che è tutto drogato e dopato a tal punto che il pensiero più ricorrente è che si stava meglio quando si stava peggio? Oggi tutto è basato sui soldi, anzi, tecnicamente è tutto basato sulla finanza. In tutti i discorsi, dalle classiche italianissime ‘chiacchiere da bar’ ai discorsi più astrusi, nulla è esente dal ‘soldo’. Lo trovi in tutti i discorsi: nello sport, nella cultura, nella scienza, nel sociale e soprattutto in politica. All’altare del ‘dio denaro’ abbiamo sacrificato tutto quello che di interessante avevano le nostre vite, ma perché? Come ci si è potuti lasciare travolgere da questo enorme vortice dove tutto è relativo e gira, senza identità e senza meta, come se fossimo del bestiame? Ma soprattutto, mentre tutti siamo ossessionati dallo spauracchio della ‘crescita’ quali conseguenze stiamo causando all’ambiente che ci circonda? Quanti esclusi esistono? Quale velocità hanno raggiunto le espulsioni dal sistema di quei soggetti che non si sono integrati nel meccanismo oppure che scelgono liberamente di non omologarsi alla massa? Perché la povertà assoluta non è mai stata così dilagante dal dopoguerra ad oggi, con quasi sei milioni di poveri assoluti?

L’inquinamento, lo stress, l’aumento del tasso di violenza, la diminuzione delle risorse fossili, l’aumento della temperatura globale, l’avvelenamento delle falde acquifere,  la disoccupazione, l’assenza di un reddito minimo garantito, il lavoro sottopagato inferiore alla soglia di povertà e persino le invincibili malattie moderne hanno nell’Occidente, che conta “solo” 1mld e 250 mln di persone su un totale globale di 7,5mld, la maggiore proporzione di origine e causa. Se riduciamo tutto ad un mero calcolo matematico scopriremo che il 25% della popolazione mondiale utilizza il 75% delle risorse prodotte da tutto il mondo tuttavia, la velocità con la quale stiamo viaggiando non solo genera miliardi di poveri e perseguitati in tutto il mondo, i cui effetti sono a noi ben noti a causa del fenomeno migratorio, ma riproduce nel suo stesso interno, in seno alla propria ricca e spocchiosa microscopicità,  una enorme isola di infelicità costituita dagli esclusi, dalle vittime di un capitalismo malato che favorisce una élite ristretta di eletti a discapito di una massa informe che chiamiamo “Popolo”, nutrito ed infarcito di pubblicità e fake news. Il perfetto prototipo delle vacche da mungere, delle bestie da consumo; così ci siamo ridotti? È questa la civiltà che i nostri nonni speravano per noi?

Difatti, oggi i nostri sorrisi sono molto meno sereni di quelli delle nostre nonne, la fatica delle nostre braccia non dà le stesse soddisfazioni di quelle di una volta, le serate trascorse in famiglia non sono più le stesse, viviamo le nostre case con disinteresse come se fossero alberghi, molti di noi non sanno nemmeno più come divertirsi in modo sano senza nuocere alla sicurezza ed alla salute del prossimo. Cosa ci sta succedendo?

Ognuno di voi può provare ad immaginare qualcosa che può riportare poi in una riflessione  a margine di questo scritto.

In conclusione di questa noiosa ed eretica riflessione, voglio raccontarvi di quando da ragazzo mi capitò tra le mani il libro “Com’era bello nascere nel lettone” di Gaetano Afeltra. Ne lessi un vero inno alla nostalgia ed alla serenità che è essa stessa la felicità. La stessa che vedo negli occhi dei personaggi ritratti nelle foto d’epoca che di tanto in tanto vengono postate in rete.

Allora sì che mi viene da pensare che chi afferma che “Si stava meglio quando si stava peggio” ha ragione e che la vera felicità non risiede necessariamente in questo falso mito, questo dramma psichiatrico, questa rincorsa senza meta, questo folle valzer che non finisce mai che è noto con il nome di “crescita”.

Sarebbe interessante scoprire cosa succederebbe se si provasse a rallentare fondando uno Stato Etico in cui la supremazia appartiene agli uomini e non ai numeri e dove lo Stato Sociale viene prima del business. In poche parole decrescere.

Intelligenti pauca…

amalfimaccheroni