E non solo la ristorazione. Il “delivery”, ovvero la consegna a domicilio di cibi e bevande, ucciderà una generazione di cittadini che con sacrifici e sudore hanno creato una piccola attività di bar, gelateria o gastronomia in generale.

Mi sono molto indignato nel leggere la notizia riportante il parere del noto giornalista Alessandro Cecchi Paone il quale ha definito il delivery come il futuro della ristorazione elogiando tale attività definendola come la moderna normalità che avanza.

Ebbene questo blog che è antimodernista per definizione non può che deprecare simili affermazioni e certamente, al contrario di Cecchi Paone e del mondo radical chic di cui egli fa parte, non per motivi ideologici. E bene ha fatto Gianluigi Paragone a dargli del folle, poiché è di follia che si tratta.

Su una tipica “Mattonella parlante” in cui mi sono più volte imbattuto in un famoso ristorante di Amalfi ho potuto leggere una simpatica definizione che recita: “Si dovrebbe sempre cucinare pensando a qualcuno, altrimenti si sta solo preparando da mangiare

Cucinare è un’arte e come tutte le arti, deve essere fatta con il cuore, con passione e con generosità. Cucinare è esprimere un insieme di sentimenti che si concretizza nella presentazione di un piatto a tavola, accompagnato da una bottiglia in abbinamento, il tutto accompagnato dai buoni consigli e dalla professionalità di chi in un ristorante ci vive oltre che lavora.

Cambiare il senso di questa filosofia convertendola in delivery distruggerà il lato umano che c’è in una cena romantica a luna di miele, in un pranzo luculliano tra amici in un agriturismo o in una bella serata informale in pizzeria, ed il pensare che nel resto del mondo ci si è già adeguati in tal senso non ci può convincere, visto che tutto il mondo viene in Italia per godere delle esperienze culinarie di casa nostra.

Il delivery finirà per assassinare questo mondo ed andrà, per forza di cose, a rimpinguare le fila di quei nuovi schiavi che sono i fattorini, altresì conosciuti con un altro inglesimo truffa: il rider. Il rider a mio avviso rappresenta il prototipo di lavoratore che il sistema neoliberista dominante vorrebbe: privo di stabilità, privo di contratto, flessibile fino all’estremo ed in perenne stato di povertà/necessità.

Dall’altro lato della barricata ci sono i giganti del web, colossi impersonali gestiti da interfacce ed algoritmi che ti battono e segnano il ritmo del lavoro. Non hai contatti con un responsabile, non c’è un capo a cui presentare un reclamo, davanti a te c’è solo un palmare che con un segnale acustico ti dice cosa fare ed in quanto tempo farlo.

Ma non esistono solo i ristoranti: mi vengono in mente al volo altre attività come i bar ed altri piccoli esercizi che vendono prodotti artigianali che vanno consumati assolutamente freschi come ad esempio i gelati. Come si può chiedere ad un gelataio di “modernizzarsi” e mettersi a fare le consegne a domicilio?

Consiglio a Cecchi Paone di aprirsi una bella attività di somministrazione, sporcarsi le mani ed insozzarsi un po’ la camicia col sudore per capire come funzionano certe dinamiche in Italia. Certamente scoprirà che la vita è un po’ diversa da quella che si studia nei salotti radical chic di cui il nostro occidente è purtroppo sempre più infarcito.