Dopo la lotta per la sovranità e la critica del capitalismo, il terzo punto per cui lottare per riavere una società di nuovo umana in cui al centro ci sia l’uomo e non il denaro è la “Decrescita”.

I media tradizionali e la politica ripetono questo mantra all’infinito: sono sempre più ossessionati dalla mancanza di crescita economica, in un’epoca in cui tutti siamo già ben oltre i limiti umanamente sostenibili e dove la qualità della vita è crollata, trasformando il nostro libero arbitrio in un segno su un grafico statistico. Dobbiamo rivoluzionare il nostro punto di vista iniziando dal ripensare la nostra società non in termini di crescita, ma di decrescita, un ritorno cioè ad un tempo in cui la felicità degli esseri umani non era determinata dalla produttività ma dalla percezione di un benessere psicofisico reale.

Come possiamo rendere questa utopia realizzabile e come possiamo fare per riappropriarci della nostra felicità? Secondo gli studiosi di questa nuova filosofia, dovremmo tutti impegnarci per una riduzione volontaria e controllata della produzione e dei consumi, anche se questo significa controvertere l’ordine e la natura economica moderna, la quale sembra oggi non riconoscere il senso del limite intrinseco all’ecosistema terrestre.

In un’epoca in cui la superficialità del “Gretismo”, anzi, del “Gretinismo” cerca di scioccarci con degli slogan d’impatto e con manifestazioni prive di contenuti, sempre evitando sistematicamente di individuare ed indicare il vero responsabile del disastro ambientale, cioè la moderna società basata sulla produttività e sul capitalismo, non possiamo più mettere la testa sotto la sabbia fingendo di ignorare che le risorse mondiali siano limitate e debbano servire per tutta l’umanità ancora a lungo.

È ormai chiaro e lampante che perseguire ciecamente una crescita sregolata e fine a se stessa rappresenti un paradosso che ci condurrà all’autodistruzione.

Per il sistema neoliberista attuale basato sull’esasperazione del concetto di produttività, la riduzione della produzione e dei consumi è un’orrenda bestemmia, una catastrofe da evitare proibendone anche la diffusione del pensiero. Per questo molte armi di distrazione di massa sono state utilizzate anche di questi tempi. Il più importante è quello dei Friday for Future e tutti hanno un minimo comune multiplo: il rifiuto di penetrare nel cuore del problema, non sforzandosi mai di andare al di là dei luoghi comuni e soprattutto evitando sistematicamente l’individuazione dei veri responsabili.

Eppure il modello attuale basato sul falso mito della crescita ci sta proiettando in un girone infernale fatto di recessione e disoccupazione, ed è in parte quello a cui stiamo assistendo in Italia ed in altri paesi occidentali da almeno un decennio. Per i sostenitori della decrescita, invece, solo un’uscita programmata e controllata dalla società dei consumi potrà evitarci gli effetti sempre più rovinosi della crisi attuale e consentirci di costruire una società nuova, alternativa e di prosperità senza crescita, costituita cioè da persone che si sono sapute autoregolare riconoscendo i limiti dell’insostenibilità.

Giunti ormai nel secondo decennio del ventunesimo secolo, urge la necessità di ripensare l’economia non più come fine a se stessa, ma alla soddisfazione delle necessità delle persone e soprattutto alla loro felicità. Bisogna iniziare a concepire il mondo con meno beni tangibili, meno scambi monetari e finanziari, produzioni ecologicamente sostenibili, e più beni relazionali, di scambio e di dono.

La decrescita non è quindi da bollare come un’eresia o una minaccia alla stabilità economica della nostra società, ma come un rimedio, un anticorpo che ci aiuti ad espellere dal nostro organismo le tossine di una società malata.

Questa svolta è dettata per sua natura e conformazione verso un nuovo, ma anche vecchio modello economico che rimetta al centro le persone e loro relazioni; l’uomo e il rispetto della natura. Non più l’economia come professione di fede, ma un’economia in funzione di una vita sociale più umana.

Tutto ciò però non può prescindere da un radicale cambio di mentalità da parte nostra che deve nascere da una presa di coscienza personale del problema. In poche parole una rivoluzione culturale.

I maggiori detrattori della decrescita, che sono poi gli stessi pochi illuminati che stanno concentrando verso se la maggior parte della ricchezza, per impedire che questo concetto fecondi le menti delle persone per bene, riconoscono la correttezza della critica sociale, ma nel contempo ne denunciano la mancanza di concretezza politica, bollandola come un’utopia, diffondendo sospetti e paure e adducendo che la sua traduzione applicata alla realtà, possa diventare una catastrofe. Può capitarci infatti di ritrovarci accusati di fascismo, comunismo o qualsiasi altro “ismo”, soltanto per aver provato ad introdurre un simile argomento.

Tuttavia esistono già molti progetti locali di decrescita, anche in Italia: esempi di autoproduzione alimentare, autolimitazione nei consumi e riciclo, riduzione dell’uso del denaro e creazione di reti di relazioni e di scambio. Tutti esempi che si diffondono dal basso, creati da movimenti e associazioni che si mettono in rete, sul territorio e sul web per favorirne la condivisione. La decrescita, non è infatti un modello unico e rigido, ma una serie di molteplici  alternative da perseguire in contemporanea, tutte da inventare e realizzare. La prospettiva è rivoluzionaria, ma la strada per arrivarci è aperta alla creatività.

Resistere agli stili di consumo che abbiamo intorno e creare qualcosa di nuovo richiede motivazione e grande determinazione. Queste qualità o sensibilità vanno alimentate ogni giorno ad una fonte viva, fresca e credibile.

Come si fa allora a tradurre nella pratica personale e politica questa bella utopia? Da dove si comincia? Dove si trova la forza? 

Ripartire da noi stessi e dalla concezione del ritorno alle origini può bastare per il momento. Se molte persone iniziassero a porsi questi quesiti, prima o poi si incontrerebbero, i loro percorsi si incrocerebbero, dialogherebbero e chissà, magari collaborerebbero per costruire qualcosa di nuovo ed allo stesso tempo antico: una società in cui sono i valori umani ad essere al centro della scena, e non i numeri.

Chiudo con una video conferenza in cui i professori Latouche e Fusaro si confrontano sul tema della decrescita.