Nel marasma politico della giornata di ieri si è per lo più eclissato un fatto secondo me di una estrema gravità che riguarda, non a caso, Matteo Renzi.
In uno show personale in una TV Saudita, il Nostro ha sciorinato in un inglese molto migliorato, anche se dalla pronuncia che suona ridicola, una serie di palle riguardo un presunto rinascimento arabo.
Partendo dal fatto che non si possa usare il termine “Rinascimento” quando si parla di un paese la cui fonte del diritto è la sharia (Renzi ha pure voluto specificare la sua origine fiorentina, culla del Rinascimento) e stendendo un velo pietoso sui vari DPCM che impongono la quarantena, bellamente ignorata dal senatore di Rignano, per chi rientra da alcuni paesi tra i quali l’Arabia Saudita, quello su cui voglio puntare i riflettori è come sia possibile dal punto di vista etico e legale che il capo di un partito di maggioranza che esprime ministri e sottosegretari attraverso i quali determina la linea politica della nostra nazione possa percepire compensi da una potenza straniera come l’Arabia Saudita che non sa cosa siano i diritti umani (dov’è la Boldrini?), che da un paio d’anni bombarda un paese del terzo mondo come lo Yemen riducendolo a brandelli sotto il profilo umanitario e che finanzia organizzazioni terroristiche di primo piano come Isis, Al-Qaeda e Jihad Islamica.
L’affermazione più grave è stata quella in cui Renzi ha dichiarato di invidiare il costo del lavoro in Arabia, un paese dove le donne non possono lavorare, dove esiste il concetto di “padrone” e dove i lavoratori sono intesi come una proprietà.
Chi svolge un ruolo così delicato, tanto da poter determinare una crisi di governo come quella che stiamo vivendo in questi giorni, non può essere contemporaneamente consulente a pagamento di un altro Stato. Anche perché in Italia le crisi di governo hannospesso aperto la porta a forze straniere interessate ad una svendita dei nostri asset strategici.